Ove son or le meraviglie tue O regno di Sicilia? Ove son quelle Chiare memorie, onde potevi altrui Mostrar per segni le grandezze antiche?
(Dal Fazello - Storia di Sicilia, deca I,lib. VI,cap.I)
Nella prima sezione di questa sala sono esposti alcuni ritratti di cittadini piazzesi illustri, per lo più di autore ignoto, raffigurati nelle pose tradizionali della ritrattistica ufficiale.
Apre la serie l’arguto Ritratto di Filippo Arena, databile nell’ultimo decennio del Settecento. Nato a Piazza nel 1708, gesuita, dopo l’espulsione della Compagnia di Gesù dalla Sicilia nel 1767 si trasferì a Roma dove morì nel 1789. Fisico, matematico e botanico, autore di numerosi studi che mostrano un buon grado di aggiornamento nelle discipline affrontate, l’apporto scientifico più originale di Arena riguarda il campo della botanica, con la pubblicazione di due volumi intitolati La natura e la coltura dei fiori...(Palermo 1767-68), dove sono esposte le sue teorie innovative sulla sessualità delle piante, sulla fecondazione e sull’ibridazione, la cui importanza verrà riconosciuta solo nel secolo successivo.
Come si evince dall’iscrizione dedicatoria si può datare subito dopo il 1854, anno della sua morte, il mediocre Ritratto di Antonio Pittà, maestro di cappella di Piazza, qui raffigurato nell’atto di comporre musica su uno spartito; mentre è firmato “G. Sacco pinse 1865” il realistico Ritratto di Domenico Cammarata, commissionato in quello stesso anno dal Consiglio Comunale per ricordare le virtù civiche del politico, effigiato con austera semplicità in una dimensione quasi domestica e informale. Ma il pezzo più pregevole sotto il profilo stilistico è senza dubbio l’elegante e aristocratico Ritratto d’uomo, databile nella prima metà del XIX secolo, anch’esso proveniente dal Municipio, di cui non esiste purtroppo alcuna documentazione, restando così senza nome sia l’autore del dipinto sia l’identità del personaggio in abito di gala.
Ampio spazio è dedicato poi alle opere superstiti nelle raccolte comunali, in particolare ai ritratti, del piazzese Giuseppe Paladino (Piazza Armerina 1856-1922), figura tra le più interessanti nel panorama artistico siciliano di fine Ottocento e primo Novecento, la cui fisionomia stilistica attende ancora di essere indagata dalla critica. Sono pochi infatti i punti fermi sul percorso e sulla cronologia delle opere a noi note di Paladino ma sappiamo con certezza che fu allievo di Domenico Morelli all’Accademia di Belle Arti di Napoli, grazie a un sussidio del Comune elargito negli anni 1876-77, e che tornato a Piazza, tranne un soggiorno in Egitto e una breve tappa a Messina, vi resterà fino alla morte. Personalità umbratile e appartata, Paladino si dedicò in prevalenza alla pittura di paesaggio ma soprattutto al genere del ritratto, privilegiando una rappresentazione realistica e dignitosamente composta dei personaggi, spesso inseriti in ambienti quasi del tutto neutri adatti a farne risaltare la resa psicologica, con una particolare sensibilità per gli effetti luministici e atmosferici. Le sue prove migliori mostrano una notevole forza comunicativa, come qui è ben documentato sia nei tradizionali e quasi fotografici Ritratti del barone Antonio Trigona Geraci e della baronessa Carmela Trigona Geraci (1894), in deposito temporaneo dall’Opera Pia Casa dei Fanciulli “Baronessa Trigona Geraci”, sia in quelli di tono intimo e familiare, quali i Ritratti dei coniugi Salvatore De Curtis e Titì Montalto, sia nei malinconici Ritratto di vecchia e Ritratto di giovane donna, o nell’intenso Autoritratto.
Più o meno nello stesso periodo risulta attivo un altro pittore di origine piazzese, Carmelo Giarrizzo (Piazza Armerina 1850-Palermo 1917), del quale si espongono qui alcuni dipinti eseguiti per la sua città natale. Appartenente a una famiglia di artisti per diverse generazioni (il padre Francesco, i fratelli Michelangelo e Salvatore, i figli Manlio, Adele, Maria ed Emma), formatosi anch’egli a Napoli e poi trasferitosi a Palermo, dove fra le sue prove più significative vanno almeno ricordate le decorazioni del villino Favaloro e del portico esterno del Teatro Politeama, soprattutto negli anni giovanili Giarrizzo mantenne costanti i legami con Piazza, da dove gli giunsero varie commissioni (a lui si devono anche i restauri degli affreschi di Martorana nella sala consiliare) per dipinti che in parte risultano oggi dispersi.
Sappiamo che gli venne commissionato dal Comune il Ritratto del re Vittorio Emanuele II (siglato in basso a destra “C.G. 1877”), in grande uniforme e con le onorificenze militari e dinastiche, ripreso certamente da un’immagine fotografica e irrigidito in uno schema convenzionale di tipo celebrativo. Qualche decennio più avanti, forse già agli inizi del Novecento, si possono datare invece le quattordici tele di una suggestiva Via Crucis, fino ad ora ritenute disperse, provenienti dalla chiesa di San Filippo d’Agira e realizzate “a spese e devozione di Rosario Russo e moglie”, com’è esplicitamente indicato nella prima ‘stazione’, nelle quali la semplificazione delle scene e delle figure e le tonalità spente della gamma cromatica ricordano la lezione dell’ultimo Morelli e in qualche modo sembrano anticipare soluzioni stilistiche già pienamente novecentesche.
A conclusione del percorso sono collocati un Ritratto di vecchio, caratterizzato da una pennellata sciolta e nervosa, opera di Giacomo Velardita (Piazza Armerina 1864-1938), fedele seguace di Paladino e noto anche per essere stato un appassionato di ornitologia, entomologia e occultismo, e un bronzo di Gaetano Conti Giarrizzo (Piazza Armerina 1887-1956), il Busto del generale Antonino Cascino, proveniente dal Municipio, realizzato nel 1933 presso la Regia Scuola Tecnica Industriale di Piazza Armerina per ricordare un illustre piazzese del secolo scorso, medaglia d’oro nella prima guerra mondiale, al quale è dedicato il grande monumento commemorativo in una delle piazze principali della città.
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